I Borsellino: Il Cavalier Francesco. Detto “Cicciu, lu Cavaleri”
– Nasce a Cattolica il 29.7.1796 ed a Cattolica muore il 22.6.1867, all’età di 71 anni, a seguito dell’epidemia di colera.
– Dal 1836 al 1840, quando il padre, Marchese Gaspare, era ancora vivente, è stato Sindaco di Cattolica.
– Si sposa il 22.10.1845, a quasi 50 anni, con Giuseppa Giacoma Rizzuto (detta “Pippina”), una ragazza di circa 20 anni, con una differenza di età di quasi 30 anni, che gli dette 9 figli (4 maschi e 5 femmine).
– Pare che Francesco avesse una relazione con una Napoletana che manteneva nella cosiddetta casa Pennino (o Gliogliò) che prima esisteva nel luogo in cui io ho costruito il garage in Via Collegio/Via Leonardi. E’ per questo che il Marchese Gaspare pensava che il figlio non si sarebbe più sposato e che pertanto l’eredità doveva passare all’altro figlio Giovanni? Comunque alla vigilia del matrimonio l’amante fu licenziata e rispedita a Napoli.
– Il Marchese Gaspare muore nel febbraio del 1842, il figlio Giovanni si sposa nell’ottobre dello stesso 1842 con la figlia del Barone Giacomo Spoto ed il figlio Francesco si sposa nell’ottobre del 45 con una Rizzuto. Per tre anni Francesco da celibe, aveva abitato nel Palazzo avito, nello stesso appartamento con la famiglia del fratello Giovanni (solo alcune stanze erano state assegnate dal padre, ma la camera da pranzo e la cucina per esempio erano in comune). Poi si era sposato anche lui ed aveva portato la sposina nelle stanze che gli aveva assegnato il padre. Ma dopo 7 anni di matrimonio, nel 1852 aveva iniziato una causa contro il fratello per ottenere la divisione del palazzo. Questa causa è durata una sessantina di anni e di questo ne parlo in dettaglio in appresso nella parte riguardante la storia del palazzo.
– Con il matrimonio di Francesco nascono due partiti: i Borsellino/Spoto discendenti da Giovanni (famiglia del “Marchese”) ed i Borsellino/Rizzuto discendenti da Francesco (famiglia della “Cavalera”). Due famiglie che si odieranno per lungo tempo e presto inizieranno a farsi causa reciprocamente. Fino a quando, nel 1895, due figli di Francesco (Pepè e Vanniddra) si sposeranno con due figli di un ramo degli Spoto (matrimonio a “vota vrazzu, un frati ed una soru cu un frati ed una soru”), mentre dall’altra parte una figlia di Giovanni (Mariannina) sposerà il capo di un altro ramo degli Spoto (Michelino, fratello della madre!) rinsaldando l’alleanza Borsellino/Spoto; Ma nello stesso tempo però una altra figlia di Giovanni (Anna) si sposerà con un Rizzuto generando quel Giov. Rizzuto che unificherà le fortune della sua famiglia e che fu per lungo tempo pupillo del mio nonno materno e poi il migliore amico di mio padre. A questo punto però sarà bene dare uno sguardo all’albero genealogico per potersi districare in questa selva di intrecci di matrimoni tra parenti che hanno dato luogo a diversi disastri: infatti troveremo diversi discendenti psichicamente disturbati. A cominciare della famosa Signorina Giuseppina Spoto (la famosa “zia Pia”) i cui genitori erano zio e nipote.
Forse è per questo che ho voluto sposarmi lontano, dando un innesto di fondo alla mia discendenza. Mia moglie fiorentina infatti è veramente cosmopolita con ascendenze americane, francesi e russe. I geni però sono prepotenti e mio figlio ha i tratti di mio padre sia per l’aspetto somatico sia per l’indole. Mia figlia invece ha preso molti aspetti del temperamento piuttosto instabile di mia madre con la sua intelligenza, generosità e scatti di umore, mentre fisicamente ha preso molto da mia moglie e dalla sua famiglia.
Abbiamo visto che Francesco accettò l’eredità paterna accollandosi soltanto lui l’onere delle cause in corso con l’erario ed il Conte Gaetani. L’eredità era veramente gravosa. Cosa trovava Francesco?
– Il feudo di Giardinelli di Cammarata apparteneva al Marchesino Dima.
– Un consistente pezzo del Feudo di Giardinelli di Sciacca era stato dato a Giovannina (terre che in suo onore successivamente furono chiamate “Donna Vanna”).
– Busunè, o meglio Sant’Agata, era stato dato a Teresina (terre che dopo la sua morte tornarono ai discendenti di Francesco).
– Giovanni aveva avuto tutto Monteleone (cioè le antiche terre di Borsellino) e parte del feudo di San Pietro.
– Giulio e Giuseppe erano stati sistemati con le terre di Cannamela, Canale e Malacarne.
– Le case di Agrigento erano state date a Gesua e Stefana.
– Il palazzo di Palermo in Via Bandiera era occupato (sia pure in usufrutto) dal Marchesino Dima il secondo piano e dal nipote Gaspare figlio di Giuseppe al primo piano (che però morì presto e secondo il testamento del Marchese Gaspare ritornò nella disponibilità dei discendenti di Francesco).
– Le miniere di zolfo a Colle Rotondo erano state cedute ai Florio prima ed ai Genuardi dopo (per fortuna vista la crisi del settore che ha gettato nel lastrico molte famiglie aristocratiche siciliane).
– Francesco quindi ha trovato ben poco ed aveva ragione il padre a temere che rifiutasse l’eredità. Ma Francesco è stato un uomo coraggioso che ha affrontato con grande forza d’animo le difficoltà della vita ed anche con una certa dose di ottimismo se mise al mondo ben nove figli.
– In archivio ho una decina di faldoni con la sua corrispondenza in parte bene ordinata per quel che riguarda i rapporti familiari. La sua principale attività è stata quella di difendere quel che restava del patrimonio paterno attraverso cause e liti giudiziarie di ogni tipo a cominciare dall’Erario ed il Conte Gaetani per la faccenda della Ricevitoria Generale di Agrigento.
Nel 1844 era arrivata la decisione della Gran Corte dei Conti che imponeva all’erede del Marchese Gaspare di pagare ben 32.945 ducati (corrispondenti a circa due milioni di euro o se si vuole quattro miliardi di lire!) per il fallimento della Ricevitoria Generale per gli anni 1830-32, gestita dal Conte Gaetani e per la quale il Marchese Gaspare aveva lasciato in cauzione i suoi più importanti cespiti.
Fu una mazzata che lasciava senza fiato. Tutti erano convinti che non ci si sarebbe mai più risollevati da questa batosta e che i Borsellino erano finiti. L’ingiustizia era evidente: il fallimento era stato causato per gli ammanchi e ruberie avvenuti sotto la gestione Gaetani che avrebbe dovuto risarcire direttamente il Tesoro Regio. Ora bisognava combattere. Lottare per far valere le proprie ragioni. Questo significa sostenere cause molto lunghe e molto costose mentre il patrimonio dato in cauzione è sotto sequestro in via cautelativa e non produce reddito.
Un primo successo intanto, il Cavalier Francesco lo ottenne con il ricorso alla Consulta di Sicilia e la cifra venne ridotta a 18.000 ducati. Poi a seguito del Real Rescritto del 1854, la cifra venne dilazionata a 1200 ducati anno. Forse a Re Ferdinando fu ricordata l’antica amicizia di suo nonno con il Marchese Gaspare. Era comunque un impegno assai gravoso da pagare ogni anno
– Per far fronte agli impegni nei confronti dell’Erario in attesa della conclusione della causa con il Conte Gaetani, Francesco vende pezzi del Feudo di San Pietro a Francesco Pasciuta, a Calogero Parlapiano, al Barone Spoto ed anche al cognato Vincenzo Rizzuto. Sono tutte vendite fatte con il “patto della ricompra” e quando, attaccandosi a cavilli, Pasciuta non vuole rivendere inizia una causa lunghissima.
– Anche parte delle terre del Ponte vengono vendute, con “il vil patto” della ricompra, parte al cognato Onorato De Gubernatis e parte a Maddalena Montalto moglie del Barone Spoto che non vorrà restituirle. Nonostante una lunga causa le terre restano alla Montalto e solo dopo il matrimonio di mia madre (che le ebbe dalla cugina Signorina Spoto, la zia Pia, erede della Montalto, come dono di nozze) è stato possibile riunificare il Ponte che ora ha mio figlio Francesco.
– Quando, all’apice della sua carriera e della sua ricchezza, il Marchese Gaspare dette in cauzione al Governo la parte più cospicua del proprio patrimonio per ottenere la Ricevitoria Generale di Girgenti, anche il Marchesino Dima, figlio ubbidiente, dette la sua fideiussione con il feudo di Giardinelli.
– Quando poi successe il patatrac e l’erede universale Francesco stentava a pagare il debito, anche il Marchesino Dima fu chiamato in causa. Subito dopo la morte del Marchese Gaspare nacque un contenzioso con il fratello Francesco che incise nella serenità del marchesino Dima che fu ampiamente coinvolto nelle cause. Posso immaginare come sbraitasse Anna Galifi Sandoval…. Comunque il Marchesino Dima fu costretto a dare la propria garanzia al grande usuraio Ferrandelli che prestò la propria liquidità per pagare parte delle prime rate del debito dilazionato dall’Erario.
Il Cavalier Francesco era attorniato da corvi ed avvoltoi, anche fra gli stessi familiari che aspettano il crollo. Le cause costano e non c’era quindi soltanto il debito verso l’Erario. E’ oberato da debiti e impegni finanziari e per sopravvivere si mette nelle mani degli usurai. In archivio ho trovato decine di ricevute per oggetti dati in pegno. Elenchi lunghissimi e dettagliati: oggetti d’oro principalmente (orecchini, collane, spille, braccialetti, orologi, bottoni da gilet e da camicia), ma anche d’argento (posate di ogni tipo, campanelli, sputacchiere, calamai, candelieri, bugie fibbie d’oro, speroni d’argento). Insomma Francesco aveva impegnato i gioielli e l’argenteria e questa roba non è mai più tornata nella famiglia. L’usuraio preferito si chiamava Paolo Grimaldi. C’era poi un altro usuraio che si chiamava Antonio Cannella e che accettava anche roba di secondo ordine come “manichi di coltelli d’argento”, “cucchiarelle rotte d’argento” ed anche “federe di raso”, “salviette” e biancheria in genere. Si racconta che in quel periodo una cameriera molto affezionata, nel vedere le ristrettezze ed i bisogni della famiglia, si fosse tolta dagli orecchi gli orecchini d’oro per offrirli a Francesco perché li vendesse o li impegnasse.
– Da Palermo dove passa lunghi periodi per impostare le numerose cause, scrive quotidianamente alla moglie Pippina per tenerla aggiornata ed in una lettera dice: “ I canazzi di Cattolica, come sciacalli, aspettano il nostro crollo; ma ce la faremo”.
– Povero bisnonno Francesco; era ridotto veramente male. Le date di queste ricevute per oggetti dati in pegno vanno dal 1853 al 1860. Ho provato un senso di profonda afflizione quando, molti anni fa, per la prima volta ho letto questi documenti. E’ stato per me un monito e forse è da allora che mi è venuta una gran paura di non farcela a sostenere gli impegni per la sopravvivenza della mia famiglia. E pertanto ho imparato a risparmiare.
– Abbiamo visto che Francesco vendeva ed impegnava anche la biancheria di casa per sopravvivere e resistere per affrontare tutte le cause che poi i suoi discendenti vinceranno. Vendeva con il diritto della ricompra ma spesso non ce l’ha fatto anche perché nel frattempo è morto. Mi piace qui ricordare un piccolo episodio che mi vede protagonista: Con atto 10 settembre 1855 Francesco vende, col patto della ricompra, a Liborio Amante Caltagirone una “casa terrana con cortile accanto al mondezzaio del Pizzo”. In quell’area è stata costruita la casetta che dopo quasi due secoli io ho ricomprato da un Amante Caltagirone! Faceva parte integrante del complesso del “Pizzo” in via Peculio. Si tratta della casa data a Bianca in comodato. Mi piace qui ricordarlo perché certamente il mio bisnonno Francesco sarebbe contento nel vedere che io ho riscattato la proprietà.
– Francesco muore il 22 giugno 1867 e la responsabilità di difendere gli interessi della famiglia passa alla moglie Giuseppa Giacoma Rizzuto, la prima “Cavalera“.
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